Descrizione
Gargofanie
Vi è un’oggettiva difficoltà a individuare una chiave di lettura di questa mostra. Una difficoltà che nasce dalla consuetudine dell’artista di indagare gli spazi liminali, di abitare il confine. Così ogni sua opera è un’entità in fieri che nasce e si sviluppa sul quel perimetro incerto in cui si incontrano e si stemperano gli opposti: interiore ed esteriore, materiale e immateriale, pieno e vuoto, e così via.
Non è un caso che GARGOFANIE abbia nella sua radice, come nella sua ispirazione, le garguglie – elementi di pietra che punteggiavano il perimetro dei tetti medievali – nate per liberare gli edifici dall’acqua, ‘sputandola’ lontano dai muri, cui artisti e artigiani hanno conferito forme ibride, mostruose, affascinanti e misteriose al contempo, trasformandole in creature scivolate lungo le epoche, sospese tra utilità e incantesimo: alcune mute, alcune scolpite per inquietare altre per incantare. Il loro nome è figlio del latino gurgulio, termine onomatopeico che imita il suono dell’acqua ed evoca la loro originaria funzione. Il destino però le ha infine trasformate in presenze – tanto solide quando aeree, immaginarie, leggendarie – affacciate sull’abisso o stagliate contro l’immensità del cielo (a seconda del nostro punto di osservazione) – guardiane delle soglie tra la terra e l’universo.
Le GARGOFANIE alludono alla solennità monumentale delle cattedrali gotiche, nascono da un atto di decostruzione del materiale che trasforma le lastre radiografiche in elementi base, in fili, per (ri)creare opere in cui quest’ultimi diventano forma e contenuto, supporto e riflesso, trama e ordito – reali e metaforici – della stessa tessitura. Per Margherita Levo Rosenberg, l’arte è infatti un flusso continuo di trasformazione, un dialogo vivo e reciproco tra l’artista e l’opera che è pensiero e oggetto, ma anche una trama viva in cui materia, immagine e linguaggio si intrecciano, senza distinzione tra natura e cultura. L’opera è creata dall’artista ma cresce autonomamente, si emancipa dalla sua origine creativa, assumendo la responsabilità del dialogo con l’osservatore, cercando il proprio posto nel mondo.
Materializzazione di un pensiero, tappa di un viaggio interiore ed esistenziale, l’opera d’arte e uno strumento di cura contro ciò che Levo Rosenberg definisce la ‘mancanza d’intero’ che l’accompagna sin dall’infanzia. La pratica artistica diventa così un modo di abitare il tempo e lo spazio, di confrontarsi con la fragilità, con il bisogno profondo di comunicazione, e con la tensione filosofica tra essere e rappresentare.
Le opere di GARGOFANIE sono forti, resistenti e all’apparenza impenetrabili, inavvicinabili eppure capaci di adattarsi all’evolversi dello spazio e del tempo senza perdere la loro autonomia, proprio come i pensieri che una volta pensati cominciano da subito a librarsi e liberarsi assumendo di volta in volta nuove forme, declinazioni, sfumature. Spinose e ipnotiche, esse rivendicano il diritto-dovere di instaurare un dialogo mutevole ed esclusivo con ogni singolo individuo nell’istante effimero in cui ne incontrano lo sguardo, escludendo ogni interpretazione terza, ogni condizionamento di significato fosse anche quello dell’artista stessa.
Pier Paolo Pasolini in una lettera a Maria Callas si riferisce al lavoro che il regista compie sull’attrice attraverso l’immagine di una pietra preziosa violentemente frantumata in mille schegge. Una visione capace di veicolare l’idea del valore dell’intero, che tuttavia, per essere riguadagnato alla sua luminosa verità deve prima essere straziato e fatto a brani. Per il Poeta, solo la poesia, con la sua funzione eternatrice, sarà in grado di restituire a quei frammenti, infranti e poi ricomposti, un orizzonte più duraturo di quello della vita. Allo stesso modo Margherita Levo Rosenberg distrugge e ricompone in forme nuove in cui l’intero, il tutto è molto maggiore della somma delle sue parti affidando all’Arte l’onere di dire l’indicibile, di indagare il mistero dell’essere.
di Barbara Pavan
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